“Menu Ubu. Un cuore così bianco”. Questo il titolo dello spettacolo del laboratorio teatrale del triennio del Monti diretto da Sabina Spazzoli, regista, nonché autrice della riscrittura del testo tratto dall'Ubu Roi di Alfred Jarry, con la collaborazione di alcuni attori sia del carcere sia del Liceo.
Il 14 maggio la Casa Circondariale di Forlì ha aperto le porte della sua cappella per ospitare i giovani attori del Liceo che, insieme ai detenuti, hanno messo in scena la seconda parte del loro Ubu Roi di fronte al pubblico formato da circa una cinquantina di ospiti della sezione maschile e femminile del carcere, gli operatori dell' associazione di volontarito di Forlì Con...tatto, alcuni genitori, le insegnanti Solfrini e Romanelli e l'assessore alla cultura di Cesena Chritian Castorri.
Come lo scorso anno, il laboratorio fa parte del progetto “La scuola incontra il carcere”, nell'ambito del Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna. Anche questo spettacolo ha come tema, essendo il progetto triennale, la Patafisica di Jarry e la drammaturgia dell'Ubu Roi come prodromi del surrealismo. A seguito dell'esperienza positiva di “Ceci ce n'est pas Ubu” (due repliche al Bonci e due alla casa circondariale, nonché una menzione di merito al festival di teatro scolastico Elisabetta Turroni e la pubblicazione all'interno del catalogo della mostra per i 170 anni del teatro Bonci “Spiriti Ardenti” fra arte e fotografia, a cura di Marisa Zattini) di comune accordo il Liceo con la Direzione del Carcere di Forlì ha deciso di dare seguito all'iniziativa.
La quête farsesca dello spettacolo del Bonci dello scorso anno si era conclusa con l'assassinio metaforico del personaggio che uccideva il suo autore attraverso uno specchio simbolico, mentre, nella variante messa in scena nella casa circondariale, Ubu era stato ritrovato proprio in prigione, e l'ultimo scambio tra madre e padre Ubu non è altro che l'inizio dell'opera di Jarry e anche dello spettacolo di quest'anno:
Père Ubu: Merdre.
Mère Ubu: Oh! Volilà du joli, Père Ubu, vous estes un fort grand voyou.
Padre Ubu; Merdra!
Madre Ubu: Che finezza, padre Ubu, siete proprio un gran mascalzone. (Atto primo, scena prima trad. per Adelphi di Claudio Rugafiori)
L'opera di partenza è, infatti, l'“Ubu Roi” di Alfred Jarry, quintessenza dell'irrisione di un autoritarismo ignorante e volgare che attraverso una parodia del Macbeth, ridicolizza i regimi dispotici con un'operazione che anticipa quella di Chaplin ne Il Grande dittatore (non a caso mappamondi che rotolano sulla scena o tra le mani delle streghe sono grandi protagonisti della scenografia).
Ad accogliere il pubblico una tenda di parole scritte su cartoncini che verranno in seguito distribuiti al pubblico, frutto della riflessione operata dai due gruppi del laboratorio sui regimi totalitari. Ridare il giusto senso alle parole è un atto di resistenza quando la mancanza di libertà le priva del loro significato (si ricordino gli slogan di 1984: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza” ) per svuotare gli uomini della loro umanità e renderli come burattini di una farsa in un teatro grottesco. Centrale, allora, la scena, frutto di uno dei meticciamenti più fortunati operati da Sabina, in cui il gerarca di turno annuncia al popolo le sole parole consentite (NASCERE MANGIARE BERE DORMIRE SPOSARSI LAVORARE INVECCHIARE MORIRE ACCLAMARE TACERE SERVIRE UBBIDIRE , le uniche parole che Erik Orsenna immagina concesse dalla dittatura ne “La fabbrica della parola”), sotto il nuovo re, proclamato dopo l'uccisione del precedente su istigazione di mère Ubu, anima nera dall'arrivismo volgare e brutale.
Oltre alla semplificazione, potremmo dire, “dolosa” del linguaggio e del pensiero messa in atto dai regimi dispotici, un altro simbolo forte che dà anche il titolo allo spettacolo è quello del banchetto pantagruelico (atto primo, scena seconda dell'Ubu Roi), metafora del ventre insaziabile e vorace del despota che divora ingordamente tutto ciò che incontra finendo per svuotare oltre alle casse dello Stato, anche i cittadini diventati sudditi di un potere famelico e cieco.
Sono infatti i fascismi del '900, ma anche le dittature contemparanee il filo rosso del testo di Sabina: ecco allora che accanto alle streghe del Macbeth di Shakespeare compaiono altre tre streghe moderne tratte dall'opera del 1967 di Barbara Garson MacBird! Una rilettura in chiave moderna del Macbeth.
Il dialogo tra i libri, che sempre contraddistingue il lavoro di Sabina, comprende quindi in primo luogo il Macbeth, che compare anche nella citazione del titolo (“Le mie mani sono del tuo stesso colore, ma mi vergogno di avere un cuore così bianco” è la frase pronunciata da lady Macbeth al marito dopo aver insudiciato sé stessa e i pugnali delle guardie con il sangue del re Duncan assassinato) e che funge da archetipo. Il testo però si dipana in un percorso che va da La resistibile ascesa di Arturo Ui di Bertolt Brecht, parodia anch'essa dell'ascesa al potere di Hitler e della quale è stato riscritto il prologo, al Macbett di Ionesco da cui viene ripreso il personaggio del venditore di limoni, che, in chiave femminile, richiama Madre Coraggio.
Significative anche le incursioni trasognate dello stesso Jarry in bicicletta (ispirazione tratta dalla celebre foto “Ritratto di Jarry in bicicletta” e dalle sue opere proprio sulla bicicletta Ubu in bicicletta. Il fu Alfred Jarry e Acrobazie in bicicletta) che non riconosce il suo testo nella riscrittura del laboratorio: “Di tutto questo non ho scritto neanche una riga”.
La scenografia di Stefano Camporesi trasforma in opportunità il problema della mancanza di quinte della cappella del carcere, inserendo in cornici disposte sul palco i personaggi non direttamente coinvolti nei dialoghi. Non vi è quindi soluzione di continuità tra scena e retroscena: i personaggi si animano man mano dai quadri, che richiamano i ritratti di famiglia delle teste coronate. Dal soffitto calano, accanto alle bombette alla Magritte, richiamo costante al surrealismo, le spirali, già presenti nell'edizione illustrata da Jarry stesso, che diventano la parodia di una propaganda nutrita da simboli come la svastica nazista.
Da segnalare, poi, lo straordinario commento sonoro dei ragazzi dell'Istituto Musicale “ A. Masini di Forlì che hanno fatto parte integrante dello spettacolo con le musiche originali di Michaela Schhumann e Francesco Pasqui.
Prossimi appuntamenti: al Teatro Bonci di Cesena in gennaio per la rappresentazione dedicata ai ragazzi del nostro Liceo e la presentazione (in data da definirsi) del quarto numero della rivista Quaderni di Teatro Carcere, coordinata e diretta dalla docente di teatro contemporaneo Cristina Valenti del DAMS di Bologna,“Ponti sospesi tra Teatro Carcere e Scuola” che tra l'altro, ospita un'intervista alla prof.ssa Franca Solfrini sull'esperienza del Monti.
Categoria: Attivitā 2016-2017 | Data di pubblicazione: 19/06/2017 |
Sottocategoria: Progetti didattici | Data ultima modifica: 19/06/2017 23:48:34 |
Permalink: "Menu Ubu. Un cuore cosė bianco": lo spettacolo teatrale del Triennio del Liceo | Tag: "Menu Ubu. Un cuore cosė bianco": lo spettacolo teatrale del Triennio del Liceo |
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