Ode IV del Libro I di Orazio

Il lavoro di traduzione e commento è di Nicola Rossi della classe 2A

ORAZIO

( Ode IV Libro I )

 

Col sublime ritorno della primavera e di Favonio si dissolve l’atroce inverno

Macchine traggono le secche carene

Il gregge non si rallegra più alle greppie, né l’aratore col fuoco

Né i prati si imbiancano tra le pallide brine.

Già Venere Citerea conduce i cori sotto il bagliore lunare

Le splendide Grazie e le Ninfe

Scuotono la terra ricamando danze, mentre l’ardente Vulcano

Osserva le fucine dei Ciclopi

Ora è imperativo ornare il fulgido capo con il verde mirto

O col fiore generato dalla madre Terra

Ora, nelle ombrose selve , il Fauno attende i sacrifici

E chiede ora l’agnella, ora il capretto.

La Morte eburnea impetuosamente insegue, insiste, incalza,

Reclamando ugualmente re e servitori. O Sestio felice,

La flebile precarietà della vita ci vieta sogni lungimiranti.

Già ti rincorrono la notte, i Mani ancestrali

E l’ipnotica dimora di Plutone, là

Non avrai nessun banchetto, nessuna ilarità

Né potrai ammirare il tenero Licida, che infuoca i giovani

Le vergini per lui si crucceranno.

 
 
Commento

Sicuramente siamo davanti ad una pagina infuocata della letteratura latina, di un calore insolito, specialmente per Orazio, che aggredisce la nostra emotività con una passionalità degna di Saffo.

La metafora è chiara, le stagioni si alternano e anche l’inverno passa, ma tutto è governato dal Tempo ( o dalla Morte, comunque dallo scorrere della vita ), che è tiranno insaziabile.

La prima parte della poesia ci pone davanti ad un trionfo di colori e vivacità; infatti il mondo ( persino quello mitico ) si rianima completamente dopo l’inverno; è come se la Natura tornasse a respirare dopo aver trattenuto il fiato per troppo tempo. La poesia ci trasporta tra le fiamme dell’Etna e ci mozza il fiato in mezzo alle danze edeniche delle Ninfe: il ritorno alla vita.

Ma ogni colore è precaria manifestazione del pallido, o almeno questo sembra volerci dire Orazio che dopo aver donato linfa alla tela, prima la fa decadere nel bianco della Morte ( che è l’elemento di uguaglianza ed ordine definitivo, contrapposto al Caos dionisiaco della vita ) e poi la dipinge della tenebra dell’Oltretomba. Persino le speranze sono futili manifestazioni di un Io che vorrebbe essere più duraturo, ed eccoci sparire velocemente come punti che degenerano su sé stessi.

 
Confronto

Devo ammettere che non è stato facile trovare un termine di paragone non scontato per quest’Ode, ho pensato alle Quattro Stagioni di Vivaldi, ed ho pensato al Botticelli, però ciò che mancava era quel forte insieme di inquietudine e trionfo che rendono straordinaria quest’opera, alla fine ho deciso come mio solito per qualcosa di completamente sconnesso, o almeno poco pertinente.

Quinto Orazio Flacco ( Ode quarta ) – Michelangelo Buonarroti ( Il Giudizio Universale ) 

Due artisti così distanti, in due contesti così diversi che avvertono la forza della morte; l’interrogativo che vorrei far sorgere tramite questo confronto è basato sull’eterna lotta degli opposti.

Perché Michelangelo, cristiano imbevuto di Neoplatonismo, dopo aver rappresentato un Cristo grandemente vigoroso al centro della scena, lo circonda di personaggi sospettosi, afflitti, aggressivi, impauriti ? Forse che nemmeno la Luce divina riesca a fronteggiare il Vuoto ?

Perché Orazio, di retaggio epicureo, è così intimorito dalla morte ? Forse che per quanto indolore possa essere, la prospettiva della non esistenza è pur sempre sconcertante ?

Del resto finchè si deve combattere il Male, è sufficiente il Bene, ma per combattere il Nulla ? Il Nulla non lascia scampo, ed è in definitiva il timore del Nulla che pervade queste due opere; Orazio non ha paura di perdere le sue amicizie o i suoi divertimenti, è terrorizzato dal cessare di pensare; quei personaggi che animano il cielo del Giudizio non hanno paura dei peccatori e dei demoni, quelli sono destinati a perdere in partenza, è dell’Abisso che li circonda, è del Vacuo che li stritola che sono terrorizzati.

Ma è proprio per questo che due opere simili impongono la loro immortalità, perché questi sentimenti sono eterni paradigmi dell’uomo in quanto tale, che si definisce in base a degli opposti, tra i quali specialmente ( e la scelta dei termini è intenzionale ) presente ed assente.

 
Nicola Rossi

 


Categoria: MultimediaData di pubblicazione: 01/06/2011
Sottocategoria: Latino e GrecoData ultima modifica: 08/12/2011 15:58:09
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